giovedì 2 giugno 2016

EMILIO SALGARI


La biografia che segue è stata scritta per il volume Sandopaper (della Giunti, lo trovate nelle librerie), contenente storie Disney ispirate ai romanzi di Emilio Salgari. Dato che, per questioni di spazio, la bio è stata leggermente tagliata, la ripropongo qui nella sua interezza. Voi però compratevi il volume della Giunti, per cui ho scritto anche il pezzo di apertura.


CAPITANO NELL’ANIMA

Se vivesse ai giorni nostri, Salgari dovrebbe fare aggiungere una riga al proprio passaporto per farci stare tutti i suoi nomi. Già, perché mettendoli tutti insieme si ottiene Emilio Carlo Giuseppe Maria Salgari. Una piccola stravaganza che fa il paio con quella dei nomi dei genitori, dato che la madre si chiamava Luigia e il padre Luigi: evidentemente i Salgari erano dotati di senso dell’umorismo, oppure poco fortunati nel dare e ricevere nomi.
In ogni caso, Emilio Salgari nasce a Verona il 21 agosto del 1862. La sua è una famiglia di commercianti di tessuti, ma lui sogna l’avventura, desidera solcare i mari. Quindi, si iscrive al Regio Istituto Tecnico e Nautico “Paolo Sarpi” di Venezia. Tale esperienza è fallimentare e non raggiunge il suo obiettivo di diventare capitano di marina.
Decide perciò di fare ritorno alla natia Verona, dove nel 1811 diviene giornalista e dopo un paio d’anni redattore per il quotidiano L’Arena. Tra i molti pezzi scritti ne spicca una incentrato su un vero mito dell’avventura: William Frederick Cody, meglio noto come Buffalo Bill. Corriere del Pony Express, esploratore al servizio del generale Custer, combattente nella Guerra di Secessione, cacciatore di bufali, nel 1883 Cody fonda il Wild West Show, un grandioso spettacolo itinerante che nel 1890 arriva anche a Verona. Là viene visto e recensito proprio da un entusiasta Salgari che, nel corso dello spettacolo, si offre volontario per salire su una diligenza durante un attacco simulato dei selvaggi indiani.

Contemporaneamente al lavoro di giornalista, il giovane Salgari comincia quello di scrittore d’avventure. La sua prima opera pubblicata è un racconto, I selvaggi della Papuasia, apparso a puntate sul settimanale milanese La Valigia. Nel 1883, sempre a puntate ma sul giornale veronese La Nuova Arena, tocca al romanzo Tay-See, quindi sullo stesso giornale a La tigre della Malesia (riedito come Le Tigri di Mompracem). È il primo successo, che porta a numerosi altri romanzi del ciclo indo-malese: Gli strangolatori del Gange (1887), I pirati della Malesia (1896), Le due Tigri (1904), La riconquista di Mompracem (1908), ecc. Si dedica anche ad altri personaggi e ambientazioni, come nel caso del ciclo delle Antille, iniziato con Il Corsaro Nero (1898) e terminato con Gli ultimi filibustieri (1908). Racconta anche avventure western, come quelle di Sulle frontiere del Far West (1908) e di La scotennatrice (1909), o quelle africane di La favorita del Mahdi (1887) e I predoni del Sahara (1903), giusto per citare due titoli. La sua fantasia non ha limiti, nuovi eroi fluiscono continuamente dalla sua mente e dalla sua penna, pronti ad avventurassi in Russia, Gli orrori della Siberia (1900), come in India, Il capitano della Djumna. Con ricchezza di particolari descrive luoghi esotici e lontani in cui non è mai stato, racconta imprese da brividi come fossero vere.          
Nella sua mente non rinuncia mai alle ambizioni marinare e col tempo fantasia e realtà cominciano a mescolarsi. Si fa chiamare “Capitano” e quando un collega giornalista della testata L’Adige contesta tale titolo, infuriato lo sfida a un duello alla sciabola. Nel singolar tenzone, Salgari ha la meglio sull’avversario, ferendolo, ma passa qualche guaio con la giustizia. Tuttavia può ritenersi contento, dato che impugnando la spada dimostra affinità con gli eroi di cui racconta le gesta nei suoi romanzi. Favoleggia anche di suoi viaggi durati mesi in mari e luoghi tanto lontani quanto pittoreschi. Lui stesso, verso la fine della sua esistenza, ha modo di dire “staccarmi dalle mie fantasie vorrebbe dire togliermi la ragione logica dell’esistenza.” Ma per quanto possa ingannare lettori e qualche intervistatore dell’epoca, oggi ben sappiamo che Salgari non ha mai frequentato i posti affascinanti e pericolosi che descrive nei suoi romanzi. L’unico viaggio che intraprende con grande frequenza è quello da casa sua alla Biblioteca Civica di Torino, città nella quale si trasferisce nel 1898. Sono i libri, le mappe, gli astrolabi custoditi in quel luogo a fornirgli l’humus su cui far crescere le straordinarie avventure dei suoi eroi.

Nel primo decennio del Novecento Salgari è un autore popolarissimo, anche se al tempo non apprezzato dalla critica, e le sue opere vengono pubblicate una dopo l’altra. Nel corso della sua prolifica carriera scrive oltre 80 romanzi e più di 200 tra articoli per ragazzi, racconti e novelle. Salgari, però, non è abile come imprenditore quanto come scrittore. Rifiuta di essere pagato col diritto d’autore, ovvero percependo una percentuale su ogni copia venduta, preferendo uno piccolo stipendio fisso. Ciò lo costringe a scrivere moltissimo, a ritmi serrati, senza tuttavia guadagnare abbastanza denaro per mantenere la propria famiglia, moglie e quattro figli, che passa bruttissimi momenti. Quando muore, il 25 aprile 1911, è quindi senza un soldo, pur essendo uno degli scrittori più letti d’Italia e non solo.

Continua a essere amatissimo anche in seguito, mentre libri apocrifi spuntano come funghi. Si tratta, però, di falsi. Autori ed editori senza scrupoli utilizzano il suo nome per fare denaro. Spesso sono gli eredi ad appoggiare operazioni poco chiare, consentendo la pubblicazione di romanzi scritti da altri ma firmati Salgari. Come nel caso di quelli attribuiti al duo Motta-Salgari, invece frutto del solo Luigi Motta, e quelli realizzati da ghost writer, come Giovanni Bertinetti. Se fosse ancora in vita, probabilmente il Capitano li sfiderebbe tutti a duello, mostrando chi è il vero e unico Salgari. Il tempo gli ha reso onore e, a tutt’oggi, non solo è uno degli scrittori più amati da un pubblico di ogni età, ma nel 2011 l'Istituto nautico San Giorgio di Genova gli conferisce il diploma di capitano honoris causa, con la seguente motivazione: «Per la profonda conoscenza dell'arte marinaresca, per aver fatto sognare avventure di terra e di mare a intere generazioni di giovani e per aver suscitato in essi, attraverso la lettura delle sue opere, la passione per i viaggi in paesi lontani, contribuendo a sviluppare in molti la vocazione marittimo nautica».