sabato 23 novembre 2013

AMORE SENZA PAROLE


Il fumetto è frutto di una combinazione tra immagini e parole nella quale il rapporto tra questi due fattori può essere estremamente variabile, al punto che possono esistere fumetti privi di parole. Anche in questo caso, che rappresenta una situazione limite (seppur ampiamente sfruttata nella storia del fumetto internazionale), il fumetto rimane comunque narrazione e la parola viene sostituita dalla gestualità, dalle espressioni facciali, da una formidabile padronanza della sceneggiatura. Si vuole insomma sottolineare che realizzare un fumetto senza parole non richiede meno lavoro e capacità, al contrario esige una grande padronanza del mezzo e formidabili doti narrative. Il volume Love, i cui personaggi sono esclusivamente animali, è in un certo senso obbligato a eliminare il testo dalle sue tavole, quantomeno i dialoghi, dopotutto nessuna creatura non umana è dotata di parola, ma rilancia la sfida eliminando anche didascalie e qualsiasi tipo di suono. Love è a tutti gli effetti “muto”, dato che nemmeno un ringhio, un grido, un suono turba l’affascinante silenzio delle sue tavole. Come per magia, tuttavia, quei suoni negati dal disegno riecheggiano comunque nella mente di chi gira le pagine, quasi ricordi atavici appartenenti a qualsiasi essere vivente. 
Non solo, la sfida di Love è duplice, poiché spurio anche di qualsiasi orpello buonistico e favolistico tipico di certa narrativa per ragazzi e cinematografia hollywoodiana avente quali protagonisti degli animali. Dovendo per forza di cose catalogarlo, si potrebbe collocare Love a metà strada tra i documentari di National Geographic e i romanzi di Jack London, prendendo dai primi il rigore scientifico e dai secondi la forza emotiva. 
Protagonista del volume è una tigre, di cui ovviamente non conosciamo il nome (gli animali non si danno nomi, abitudine tipicamente umana), che si addentra nella giungla alla ricerca di una preda. Seguendo le sue mosse lo spettatore (non lettore, visto che le parole sono state bandite) si immerge in un mondo selvaggio, probabilmente l’india di qualche secolo fa, un ambiente lussureggiante, strabordante di una fauna dai mille colori e dalle mille insidie. Nel folto dei suoi alberi, nelle acque dei suoi fiumi, lungo i suoi sentieri, si muovono centinaia di animali diversi. La tigre, generalmente cacciatrice, rischia talvolta di diventare preda, se si imbatte in creature più forti di lei o in altre più deboli ma capaci di di fare gruppo, come le scimmie, per contrastarla. Ecco un altro elemento peculiare del volume, la tigre non è né “buona” né “cattiva”, è solo una tigre che cerca di sopravvivere come la natura le ha insegnato. Per dirla con le poche parole che fanno da introduzione all’albo, “le bestie non si amano ma non si odiano nemmeno”, ma sono capaci di comportamenti sociali e di emozioni forti. Emozioni ben rese dal disegno di Federico Bertolucci che punta su una rappresentazione fedele della natura, ma mediata dal proprio gusto grafico e arricchita da una invidiabile padronanza del colore. Bertolucci senza rinunciare al realismo in alcune vignette riesce a fonderlo con una piccola dose di cartoons, che lo aiuta a rendere maggiormente espressivi gli animali. Le sue tavole alternano momenti di poesia a esplosioni di violenza, quando la quiete della foresta viene turbata dallo scontro feroce tra due o più animali, spesso destinato a lasciare dei morti sul terreno. 
Love contiene in sé elementi della commedia e del dramma, persino della tragedia, che la sceneggiatura di Frédéric Brrémaud impasta tra loro alternandoli con cura. Così, se la tigre che scivola attraversando un tronco, che funge da ponte su un fiume, ci fa sorridere per il suo goffo ma riuscito tentativo di non cadere in acqua, il cucciolo di scimmia stritolato dalle spire di un serpente ci comunica angoscia e tristezza per la prematura fine della simpatica creatura. La vita, sembra suggerire lo scrittore, è piena di alti e bassi, di imprevisti e persino di dolorose perdite, ma soprattutto non si ferma mai, neanche di fronte alla morte. Così l’attenzione si sposta già verso altri animali, verso altre situazioni, seguendo sempre il percorso della tigre che, per un motivo o per l’altro, ancora non è riuscita a mettere nulla sotto i denti. L’immedesimazione con la tigre, qui “protagonista” ricordiamolo, è in certe tavole immediata (come accade in quasi ogni opera di narrativa), grazie alla forte comunicativa dei suoi occhi e agli stupendi scenari in cui è immersa, ma quando lo stesso animale attacca con furia una preda una sorta di scarica emotiva attraversa la mente del lettore/spettatore, che forse rifugge da quella violenza o, peggio, scopre con timore di averne una piccola parte ancora dentro di sé, sepolta sotto strati di regole sociali. Tuttavia, la violenza della tigre ha una sua “purezza”, è finalizzata solo alla sopravvivenza, al procacciarsi il cibo, ed è inserita in un contesto ove il predatore può anche essere preda e viceversa. 
Per concludere, alcune note sulla bella edizione italiana del volume, che oltre a una buona carta e un’ottima stampa, vanta qualche pagina finale dedicata a schizzi e illustrazioni di animali, in altre parole studi preparatori per la versione definitiva. Unica critica che può essere sollevata è la mancanza di qualsivoglia dato sugli autori, Frédéric Brrémaud e Federico Bertolucci, che andrebbero valorizzati meglio viste le loro doti in ambito fumettistico. 



Frédéric Brrémaud e Federico Bertolucci
Love – La tigre
Edizioni BD
pp. 84
euro 12,00

giovedì 17 ottobre 2013

SAILOR TWAIN


Nel 1887 il battello Lorelei percorre avanti e indietro il fiume Hudson, con il suo carico di passeggeri e di segreti. Quasi tutta la vicenda ha luogo su quella grande nave fluviale, microcosmo di marinai ed eleganti viaggiatori, quasi costantemente circondato dalle acque seppur vicinissimo alla terraferma che per alcuni è impossibile raggiungere. Il suo capitano, Twain, è un evidente omaggio a Mark Twain (le cui opere, tra l’altro, circolano a bordo) e, oltre che della navigazione, deve occuparsi di qualcosa di ben più complesso e misterioso: una sirena. Trovata la mitologica creatura in fin di vita sul pontile, la nasconde in cabina e le presta tutte le cure necessarie, nascondendola agli occhi del resto del battello, e di conseguenza del mondo. Ma sul Lorelei vi sono altri segreti, altri enigmi, che presto si intrecciano con quello celato da Twain. Con un disegno affascinante nel suo essere evanescente, proprio come la creatura dei mari che deve rappresentare, Mark Siegel incanta il lettore e lo ipnotizza, trascinandolo in una corposa lettura di quattrocento tavole. Un graphic novel nel quale i personaggi acquistano spessore pagina dopo pagina, mentre il Lorelei naviga imperturbabile avanti e indietro, tra le acque, la pioggia e le nebbie dell’Hudson. Un romanzo che cita altri romanzi, veri o immaginari, leggende e sfuttatori di leggende, svelando alcuni enigmi ma lasciandone aperti altri. La lettura scorre fluida come il battello sul fiume, ma certi misteri sono pericolosi e il tentativo di fare luce sugli stessi può portare all’effetto contrario, creando nuove tenebre. Se ne accorgeranno il protagonista e i lettori.


LA SCHEDA
Titolo: Sailor Twain
Autore: Mark Siegel.
Editore: Bao Publishing
Numero pagine: 400
Prezzo: 18,00 euro

venerdì 27 settembre 2013

BREATHLESS HOMICIDAL SLIME MUTANTS


Nonostante l’aggressivo titolo, “Breathless Homicidal Slime Mutants” (traducibile all’incirca come “Mutanti bavosi assassini affannati”), questo tascabile non dedica molto spazio alle creature nate da mutazioni, rimane tuttavia caldamente consigliato per gli appassionati di fantascienza e di illustrazione. Come suggerisce il sottotitolo, “The Art of the Paperback”, si tratta di una corposa raccolta di copertine di paperback, le edizioni librarie tascabili ed economiche del mercato statunitense, in particolare degli anni 40/50/60. Per tali pubblicazioni l’impatto grafico dato dalla copertina rappresenta un elemento fondamentale nella spinta all’acquisto. Le immagini devono quindi essere accattivanti, suggestive, d’impatto. Che si tratti di cowboy, detective, soldati, pirati o, appunto, mutanti, i personaggi in copertina devono attrarre l’occhio del lettore, spingerlo ad afferrare il volume e spendere qualche dollaro per acquistarlo. E ci riescono benissimo, con una varietà di stili e scelte grafiche da far invidia ai moderni costosi volumi cartonati. A realizzarle sono alcuni dei migliori illustratori del tempo, molti dei quali (come Rudolph Belarski e Norman Saunders) provenienti dal mondo dei pulp, le riviste a basso costo che a loro volta facevano delle immagini un punto di forza. Se amate i libri e l’illustrazione, questo volume non può mancare sugli scaffali della vostra libreria.

LA SCHEDA
Titolo: Breathless Homicidal Slime Mutants
Autore: Steven Brower
Editore: Universe Publishing
Numero pagine: 304
Prezzo: 7,98 dollari

lunedì 23 settembre 2013

AVVENTURE AEREE


Una cosa è certa, Romain Hugault è nato per disegnare aerei e sembra esserne conscio, visto che concentra la propria attività su serie aviatorie. Il Gufo Reale (mini di tre volumi alla francese, pubblicati in Italia in un unico tomo) ne è l’esempio perfetto. I caccia della Seconda Guerra Mondiale si librano tra le sue tavole come giganteschi uccelli metallici, pronti ad avvitarsi in acrobazie formidabili e realistiche. Curati nei minimi dettagli, formano spettacolari stormi che invadono e dominano i cieli, mentre sotto di loro si stendono paesaggi sterminati e suggestivi. 
La storia è ambientata nel 1943, sul fronte orientale, con la Lutwaffe che contrasta efficacemente le truppe russe. L’aviazione sovietica è tecnologicamente inferiore, ma compensa i limiti dei mezzi con l’eroismo dei propri piloti. Tra loro vi sono anche delle donne, tra cui Lilya (personaggio storicamente esistito), la cui abilità è superiore a quella della maggior parte dei colleghi maschi. È in quei cieli azzurri che Lilya si scontra con Wulf, asso tedesco. Ma i due sono destinati a incontrarsi anche a terra, mentre scocca una scintilla che dovrebbe essere proibita a chi milita su fronti opposti. Per quanto fedeli alla propria patria, non vedono di buon occhio i rispettivi regimi: Wulf odia l’ideologia nazista e Lilya non si sente a proprio agio con lo sciovinismo e la cieca obbedienza stalinista. Così, mentre a gestire le loro prodezze nei cieli pensano la matita e i colori (stupendi) di Hugault, è lo sceneggiatore Yann a occuparsi del lato umano della storia, raccontando l’intrecciarsi di due vite apparentemente agli antipodi e la tragedia di una guerra cui si accompagnano ideologie distruttive. 



LA SCHEDA
Titolo: Il gufo reale – Battaglie nei cieli (collana Historica n.5)
Autori: Yann (testi) e Romain Hugault (disegni)
Editore: Mondadori
Numero pagine: 152
Prezzo: 12,99 euro

domenica 8 settembre 2013

LONE RANGER IN GIAPPONE


Il recente film dedicato a Lone Ranger ha spinto un negozio della catena Mandarake (giapponese, ovviamente) a dedicare una bella vetrina a gadget vintage dedicati al personaggio. Meraviglia!

mercoledì 10 luglio 2013

FANTASY & SCIENCE FICTION: QUALCHE CONSIDERAZIONE

Ho appena acquistato il primo numero del magazine Fantasy & Sciente Fiction (in edicola per Elara srl) e devo dire che mi ha lasciato abbastanza perplesso. Preciso subito che ancora non l’ho letto e che quindi i miei dubbi (e le mie critiche) si riferiscono più all’aspetto grafico che non a quello contenutistico, anche se le due cose non sono poi così slegate. Tra l’altro, visti i nomi degli autori dei racconti contenuti (gente come Bradbury, Simak, Ellison, ecc.), presumo che i contenuti siano ottimi, perlomeno presi singolarmente.
Andiamo al nocciolo: la grafica. So per esperienza che spesso chi si occupa di letteratura considera questioni come grafica, impaginazione, immagini, ecc. come marginali. Ciò che importa, per tale scuola di pensiero, sono i contenuti: i racconti. In linea di massima, il discorso non farebbe una piega, ma allora perché non fare una copertina bianca o a tinta unita (come le bellissime cover dei tascabili Adelphi)? Inoltre si potrebbero evitare le illustrazioni interne, o addirittura evitare di stampare su carta, fare un bel file word e scaricarselo sul computer (magari spendendo solo 90 centesimi invece che 5,90). Per il sottoscritto l’occhio vuole la sua parte, e ritengo di non essere il solo a pensarla così. La cover di Fantasy & Sciente Fiction 1 è abbastanza anonima: l’immagine di Yuehui Tang è tecnicamente impeccabile, ma non comunica molto, addirittura in mancanza di logo non si capirebbe trattarsi di una rivista di SF e Fantasy. All’interno pagine banalmente impaginate su una o due colonne (a proposito perché alcuni racconti su due e alcuni su una?), con una cornice bianca più spessa nella parte inferiore ma col numero di pagina messo su quella superiore, dove c’è meno spazio (boh). Le (poche) illustrazioni interne in b/n non sono firmate (altra cosa inspiegabile, o forse non si ritiene importante l’illustratore?) e stampate così così su una carta non ottimale. Peccato, perché sono davvero belle. E via con altri piccoli dettagli, come l’editoriale senza un titolo, le font poco azzeccate dei titoli dei racconti (tranne “Plumage from Pegasus”, che ha anche un disegnino, ma essendo in inglese è forse la grafica originale). E via dicendo. Insomma. Sul fronte dell’immagine bocciata. E, ribadisco, per me in campo fantasy e fantascientifico l’immagine ha grande importanza.
Passiamo a questioni strutturali, e quindi maggiormente contenutistiche. A mio avviso Fantasy & Sciente Fiction non è una rivista, ma una raccolta di racconti, un libro quindi. Qual è la differenza tra una rivista è un libro? Io la vedo così: un libro è un punto su una mappa, una rivista è la mappa. Nel senso che un libro è compiuto in sé, autoreferenziale, una rivista, invece, deve anche fornire un quadro di insieme, deve mostrami le strade che collegano i vari punti, deve farmi scoprire nuove strade, deve indicarmi le città come le colline, i fiumi, i porti, ecc. Insomma, in una rivista mi aspetto di trovare racconti, interviste, articoli, novità, sguardi su nuove tendenze, nuovi punti di vista su opere del passato e via dicendo. Una rivista deve essere una bussola, una mappa del tesoro, un forziere pieno di meraviglie.
Continuerò a comprare Fantasy & Sciente Fiction, perché voglio sostenere chi cerca di portare la SF nel periglioso mare delle edicole e perché (come dicevo all’inizio) gli autori pubblicativi sono straordinari, ma da chi sta al timone di questa astronave diretta verso il buco nero dell’editoria italiana mi aspetto molto più coraggio e più inventiva. State esplorando la spazio infinito, gente, cercate di mostrarvi degni di Buck Rogers.

martedì 18 giugno 2013

NO PASARAN

Per chi non lo conoscesse, Max Fridman è un personaggio creato dal fumettista Vittorio Giardino nell’ormai lontano 1982. Protagonista di tre avventure leggibili autonomamente, l’ultima delle quali, composta da tre volumi alla francese (grande formato, una sessantina di tavole a colori), è stata recentemente raccolta in un unico libro sotto il titolo No Pasaràn. Fridman vive nella Svizzera degli anni Trenta, ma, in un certo senso, è più europeo di quanto possano esserlo molti dei suoi lettori oggi. È infatti nato in Francia, ha combattuto in Spagna contro il franchismo, gira mezzo continente per seguire la propria attività di commerciante di tabacco. Un uomo di mezza età, ebreo (particolare significativo, visto il periodo storico), vedovo, padre di una bambina. È anche una spia “riluttante”, viene infatti coinvolto suo malgrado in azioni di spionaggio condotte dai servizi segreti francesi. Ma in questa sede, come anticipato, ci si occupa della storia più recente, ambientata in Spagna alla fine del 1938. L’incipit è molto semplice: Ada Treves, vecchia amica di Fridman, si reca nella sua casa per chiedergli aiuto. Il marito, Guido, arruolato nelle Brigate Internazionali che combattono il generale Franco non dà sue notizie da mesi e anche i comandi militari sembrano non saperne nulla. Poiché Max è stato suo commilitone, e conosce bene la Spagna, sarebbe un “segugio” ideale da mettere sulle tracce dello scomparso. Inizialmente titubante, Max infine accetta e parte per la penisola iberica attraversata da una sanguinosa guerra civile, alimentata da un lato dai nazifascisti e dall’altro dal resto d’Europa, in particolare dalla Russia comunista. Da quel momento la narrazione si sdoppia muovendosi su due piani, il presente e il passato, mostrato attraverso lunghi flashback. L’intento di Giardino appare immediatamente evidente, raccontare una storia (o delle storie, visto che il destino del protagonista si intreccia con quello di molti altri personaggi) all’interno della Storia (con la “s” maiuscola). A tal proposito, l’introduzione al volume, di Pepe Gàlvez, recita “No pasaràn è un libro di finzione, in cui niente o molto poco di ciò che viene presentato è accaduto. Eppure tutto o quasi tutto sarebbe potuto tranquillamente accadere.” Già, perché è proprio questo il senso e l’obiettivo della narrativa (letteratura o fumetto poco importa): raccontare storie verosimili, non riprodurre per filo e per segno eventi realmente accaduti, compito riservato al giornalismo o al documentario. La verosimiglianza è, per molti versi, un mezzo narrativo più forte e incisivo, poiché fornisce all’autore maggiore margine di manovra e gli consente di inserire, tramite i propri personaggi, innumerevoli punti di vista e spunti di riflessione. Il doppio viaggio di Fridman, alla ricerca dell’amico e sul filo dei ricordi, fornisce uno spaccato accurato e ottimamente documentato di un conflitto che ha condizionato l’Europa intera, di cui poco si parla e su cui ancor meno si riflette. Gli esseri umani, purtroppo, tendono a ripetere i medesimi errori e, ancora peggio, sono propensi a catalogare le cose in bianco e nero, quando invece la realtà è composta da un’infinita gamma di grigi. Max Fridman, che a sua volta ha militato nelle Brigate Internazionali, ogni qual volta gli viene chiesto se combatteva per i comunisti risponde: “no, combattevo per la Repubblica”, rifuggendo una contrapposizione semplicistica, quasi manichea, a cui anche noi italiani non siamo per niente immuni, portandoci da quasi un secolo sulle spalle un macigno ideologico che vede contrapporsi fascismo e comunismo quando la realtà sta perlopiù in mezzo, o al di fuori, di queste due ideologie. Così, Max Fridman cerca di districarsi tra i combattimenti, gli schieramenti ideologici e gli agguati di chi vuol fargli la pelle (da un parte e dall’altra) perché sta mettendo il becco in una faccenda delicata. Gli uomini di principi, abituati a ragionare con la propria testa, non piacciono né ai fascisti, né ai comunisti. Non si fraintenda, Max Fridman è ben lontano dall’essere l’eroe senza macchia e senza paura del fumetto avventuroso per ragazzi, al contrario ha limiti e timori del tutto umani, dopotutto non si può essere coraggiosi se prima non si ha paura, altrimenti si è solo incoscienti. Alla fine, arriverà a sbrogliare la matassa, ma trovando ancora una volta la conferma di una spiacevole verità: la vita di chi non accetta acriticamente gli ordini è certamente più difficile e più pericolosa di chi si piega ai comandi.
L’esserci dilungati sui contenuti di No pasaràn, piuttosto che sull’aspetto grafico, non deve essere visto come una carenza di quest’ultimo, al contrario come una straordinaria ricchezza dei primi. Il Giardino disegnatore, infatti, non è da meno del Giardino scrittore. Il suo disegno di matrice realistica vanta una formidabile eleganza nelle forme e nei colori, mentre le sue tavole sono uno straordinario esempio di ordinata regia. Curate in ogni dettaglio, le singole vignette sono “foto” di luoghi e avvenimenti. Viste in sequenza vantano il giusto dinamismo in una storia in cui l’azione non ha un ruolo preponderante, ma è comunque significativa. Lo stile di Giardino media tra la scuola italiana e quella francofona, ammorbiditosi nel corso degli anni ha raggiunto risultati eccellenti in ogni aspetto, segnalandosi anche per la cura delle espressioni facciali del protagonista, nei cui occhi azzurri si possono facilmente leggere emozioni che spesso non rivela a parole.
In chiusura, ci permettiamo di sussurrare una richiesta all’autore: ambientare la prossima avventura di Fridman nell’Italia pre secondo conflitto mondiale, per mostrarci con la medesima accuratezza storica, e scevro da paraocchi ideologici, un periodo cruciale della nostra storia troppo spesso pericolosamente rimpianto o superficialmente ignorato. Dopotutto, il modo migliore per evitare di ripetere un errore è averne piena consapevolezza.


Vittorio Giardino, No pasaràn, Rizzoli – Lizard, pp. 224, euro 22,00

 

venerdì 24 maggio 2013

ALBERICO MOTTA


“Ho iniziato a disegnare le prime storie sui banchi della scuola media, di nascosto dagli austeri professori di allora, che ti davano le bacchettate sulle mani quando ti scoprivano a fare qualcosa di diverso dal calcolo di quante parti di torta ti rimanevano se ne mangiavi tre quarti (magari!). Erano gli anni Cinquanta e si era fortunati quando si riusciva a rimediare un block notes a quadretti, mentre per l'album da disegno e i pastelli si doveva aspettare Natale!” 

Così ricorda la sua infanzia Alberico Motta, una delle matite, e penne, più prolifiche del panorama italiano, che di quella originaria passione per le nuvolette ha fatto una professione. 
Nato a Monza il 6 ottobre del 1937, Motta abbozza le prime storie a fumetti in giovanissima età, influenzato dalle storie lette sul settimanale Il Vittorioso. Dimostrando una notevole determinazione, oltre a un pizzico di sfacciataggine, ancora adolescente decide di proporsi a un editore. 
“Mi rivedo ragazzino di 14 anni, con il blocchetto e una matita nella tasca dei calzoni corti un po’ sgualciti, ma con tanto coraggio da uscire dalla vecchia cascina della campagna monzese per avventurarmi con il tram nella grande Milano… e nessuna paura di presentarmi a un editore vero, uno che aveva il suo nome stampato sul giornaletto di Cucciolo e Tiramolla. Beppe Caregaro, un vero signore! Mi fece entrare nel suo ufficio e sedere accanto a lui, sulla poltrona di pelle nera. Si fece un sacco di risate con le mie storielle strampalate. Che successo!” 
Quel ragazzino intraprendente è ancora immaturo, ma i consigli di Caregaro gli sono utili per migliorare i propri disegni, che continua a realizzare anche mentre frequenta l’Istituto Tecnico da Perito Industriale. Qualche anno dopo decide che è arrivato il momento di riprovarci e questa volta bussa alla porta dell’editoriale Dardo, il cui titolare, Gino Casarotti, lo invita a sostituire il ragazzo di redazione partito per il servizio di leva. È il 1954 e Motta comincia ad affrontare il lavoro di redazione (di pomeriggio, dopo la scuola), tagliando e impaginando storie a fumetti altrui, ma anche sviluppando la propria manualità completando vignette e scrivendo titoli. Inoltre, entra in contatto con alcuni professionisti del tempo, come Antonio Canale, la EsseGesse, Antonio Terenghi, Sandro Angiolini. Proprio quest’ultimo è il suo primo maestro, e gli insegna i fondamentali del disegno, quella tecnica necessaria per mettere sui giusti binari la sua creatività. È proprio in sostituzione di Angiolini che realizza le sue prime storie da professionista, brevi fumetti di Chicchirichì, buffo galletto protagonista di una testata, a cui seguono quelli di altri personaggi, come Romoletto, Stanlio e Ollio, Pachito e Lala, ecc. Si cimenta inoltre nella stesura delle prime sceneggiature e nella realizzazione di copertine, in stile realistico a tempera, per Capitan Miki e Blek. 
Poiché in Dardo le testate umoristiche cominciano a scarseggiare, nel 1957 comincia a collaborare con l’Alpe, disegnando storie del simpatico Cucciolo e dell’elastico Tiramolla. 
Dopo il servizio militare, il rapporto di amicizia con Pier Luigi Sangalli, con cui da ragazzino aveva disegnato il giornalino dell’Oratorio, favorisce l’approccio alla casa editrice di Renato Bianconi. Sono i primi anni Sessanta. Dopo aver scritto e disegnato storie di suoi personaggi – Ursus, Napoleone Sprint, Alì Salam, I due carcerati, Nerone e altri – Motta comincia a realizzare testi per altri autori dello staff. All’interno della struttura Bianconi diviene una sorta di direttore artistico, anche se ufficialmente non investito di tale responsabilità. Un ruolo, questo, inizialmente spettante a Michele Gazzarri, ma poi passato nelle mani di Motta, che all’interno di una divisione programmata dei compiti scrive quasi tutte le sceneggiature dell’editore, firmando circa 8.000 pagine l’anno per Soldino, Felix, Pinocchio, Chico, Braccio di Ferro, Provolino e molti altri. Anche Geppo viene a lungo sceneggiato da lui, dopo che Sangalli ha varato la testata del diavolo buono e ne ha tenute le redini per quasi due anni. Inoltre, Motta introduce il metodo dello storyboard, fornendo un maggiore supporto visivo agli artisti. In mezzo a tale sterminata produzione trova anche il tempo per alcuni progetti personali, come una testata tutta sua, Pierino (in seguito divenuto Niko), storie di Felix, Chico, Tom & Jerry e infine la serie Big Robot, sorta di risposta italiana all’invasione dei robottoni giapponesi, nella quale con un disegno pulito e plastico reinterpreta i topoi grafici del genere, personalizzandoli in modo piacevolissimo. 
Alla ricerca di nuove opportunità e di nuovi stimoli, nel 1980 Motta approda allo staff di IF dedicandosi alla realizzazione di storie Disney per il settimanale Topolino, inclusa la prima colorata con tecniche digitali, e ad attività collaterali quali illustrazioni per manuali Disney, copertine di videocassette di cartoni animati e immagini pubblicitarie. Col subentrare della crisi editoriale, negli anni Novanta si concentra sul mondo della pubblicità in qualità di art director di un’agenzia, mentre nel decennio successivo si occupa di comunicazione per importanti aziende. Ma la sua passione per il fumetto resta, manifestandosi nella cura di alcune mostre e nella ristampa di sue opere del passato, come la splendida serie di Big Robot.


SABATO 8 GIUGNO, DALLE ORE 15.00 ALLE ORE 17.00, ALBERICO MOTTA SARÀ PRESENTE ALL'EVENTO COSMIC JAPAN PRESSO LA LIBRERIA COSMIC COMICS DI FIDENZA (PR), IN VIA GRAMSCI 67/B. IN TALE OCCASIONE PARLERÀ DELLA NASCITA DI BOG ROBOT, CHIACCHIERERÀ CON I PRESENTI, FIRMERÀ IL PRIMO VOLUME DI BIG ROBOT E DELLE CARTOLINE (GRATUITE). NON PERDETEVELO.


mercoledì 15 maggio 2013

KOGARATSU SU LANCIOSTORY


La narrativa giapponese, disegnata e non, è ricca di samurai. Cosa affatto strana visto il passato storico dell'arcipelago. La figura di guerriero armato di katana appare invece meno frequentemente nell'immaginario occidentale, anche se in alcuni casi ha saputo attirare prepotentemente l'attenzione del pubblico. Tra le opere meglio riuscite dei questo filone si inserisce a pieno titolo la serie francese (di Bosse e Michets) "Kogaratsu", incentrata sul samurai dal medesimo nome. Una serie nella quale sia scrittore sia disegnatore mostrano di avere assorbito appieno, e sapientemente rielaborato sotto forma di racconti e immagini, le atmosfere del Giappone antico, il codice dei samurai, la complessa mitologia e la vita quotidiana di un mondo ormai scomparso. E se disegno e colori incantano l'occhio, la mente è totalmente rapita dal codice d'onore dei samurai, dalle metafore dei vecchi saggi, dai misteri della natura. Una serie in cui la BD sposa felicemente i miti del Sol Levante, giungendo a un risultato finale che, ne siamo sicuri, piacerebbe molto anche al pubblico nipponico.

mercoledì 17 aprile 2013

COMUNICAZIONE DI SERVIZIO

Messaggio per i frequentatori: Davide Castellazzi è anche su facebook, andate a trovarlo e chiedetegli l'amicizia, altrimenti si sente solo. E visto che siamo in tema facebook, consiglio anche la pagina di Jappamondo.

mercoledì 10 aprile 2013

NEVE


Il racconto Neve porta la firma di un autore occidentale, francese per l’esattezza, così come le illustrazioni che corredano le parole, ma è evidente che gli autori nel realizzare l’opera hanno attinto a un immaginario asiatico. Il protagonista Yuko Akita è un poeta di haiku, brevi componimenti poetici in tre versi, ed è incantato, quasi ossessionato dalla neve, tanto da voler dedicare tutta la prorpia arte a quell’unico soggetto, scrivendo esclusivamente poesie incentrate sul candido elemento. Un personaggio monolitico, quindi, vincolato a un mondo anacronistico che accetta di abbandonare solo per breve tempo, per raggiungere un maestro, cieco, che gli faccia comprendere i colori, unico elemento che sembra mancare nei suoi haiku, troppo bianchi, troppo simili alla neve. Scopre inoltre che il sensei ha perduto da tempo la moglie, un’equilibrista che, caduta dal proprio filo, giace ora congelata tra i ghiacci divenendo una sorta di involontario trade d’union tra i due. Tutto il racconto si basa quindi su elementi fortemente favolistici, che riescono in qualche modo a fare propri spezzoni della cultura e della mistica asiatica, ma che in fondo non portano in scena altro che l’ennesima quest, un tema universale che, proprio per questo motivo, appare tanto grande quanto vuoto, nel suo essere totalmente al di fuori di una realtà assai meno poetica e abitata da uomini necessariamente più pragmatici. Il medesimo discorso vale per le illustrazioni, che si rifanno alle stampe ukiyo-e, nelle fisionomie e nei volti allungati dei personaggi, e agli acquerelli cinesi nella stesura dei colori e nel minimalismo, ma che sono evidentemente frutto di un gusto occidentale per quadricromia e composizione. E nelle quali avrei gradito una maggiore presenza della neve, dopotutto elemento portante della storia. Il libro resta comunque di gradevole lettura, sorta di favola contemporanea tra neve e ghiaccio. 



LA SCHEDA
Titolo: Neve
Autori: Maxence Fermine e Georges Lemoine
Editore: Bompiani
Numero pagine: 144
Anno: 2008
Prezzo: 12,00 euro

sabato 6 aprile 2013

DISEGNARE IN STILE MANGA?


Vedo rimbalzare sulla rete domande di aspiranti autori di fumetti che disegnano in stile manga e vorrebbero sapere a chi rivolgersi per proporre le loro opere. Mi capita, anche, di incontrare giovani artisti pieni di belle speranze che hanno appreso i rudimenti del fumetto leggendo titoli giapponesi. Per tutti, alcuni dei quali anche bravi, il problema più difficile sembra quello di trovare un interlocutore editoriale. 
Poiché della materia credo intendermene un po’, dato che ho curato (almeno all’inizio) il popolare corso per disegnare manga edito dalla DeAgostini e ho inventato e diretto la sfortunata rivista Mangaka (che ospitava solo manga di autori occidentali), provo a dire la mia, raccontando anche qualche dietro le quinte. 

Quando DeA mi chiese di curare il famoso corso, la prima cosa che dissi fu “OK, noi gli insegnamo a disegnare in stile manga, ma poi che fanno? In Italia non esiste alcun editore intenzionato a pubblicare tale tipo di fumetti realizzati da artisti locali. Produciamo, insomma, dei disoccupati di talento.” La risposta fu semplice: “Noi gli vendiamo un sogno, non un lavoro.” Può sembrare cinica, come risposta intendo, ma è sensata. Qualsiasi corso – da scrittore, regista, illustratore, attore, ecc. – vende ai suoi acquirenti più sogni che realtà. Pochissimi di coloro che lo comprano diventeranno scrittori, registi, attori, ecc. Gli vengono forniti, insomma, informazioni e strumenti, ma la cosa il più delle volte resterà solo un passatempo. Per certe professioni lo studio non basta, serve anche il talento e, soprattutto, serve un mercato che accolga i nuovi arrivati. Per il fumetto tale mercato è risicatissimo, per i fumetti italiani in stile manga praticamente inesistente (con qualche piccola eccezione). 

Il corso spopola, viene ristampato e venduto anche in versione digitale. Il sottoscritto allora pensa: “se questa ondata di emergenti non ha un mercato, cerchiamo di crearglielo.” Mi invento quindi un magazine che pubblichi solo manga realizzati da artisti occidentali (europei e americani). Ne scovo alcuni già bravini, professionisti e semiprofessionisti, e invito gli aspiranti italiani a partecipare. Ma le cose non vanno come sperato. Innanzitutto molti non capiscono il progetto, alcuni furbetti arrivano anche a ipotizzare che io scelga autori italiani perché costano meno (idiozia, costano meno quelli giapponesi). Tutta la rivista, redazionali inclusi, è incentrata su artisti occidentali perché questa è la sua filosofia, quella di una finestra aperta su un nuovo mondo di contaminazioni. Il magazine non incontra il successo sperato e chiude dopo soli due numeri. Poco male, non sempre ci si azzecca. Ma i suoi critici più feroci sono proprio i giovani lettori, che vogliono “veri” (in che senso, poi?) manga e non quelli made in Italy. Si crea, insomma, quella che io definisco “sindrome del poeta”. Mi spiego. Chiedete un po’ in giro e scoprirete che circa una persona su quattro scrive poesie, o le ha scritte in gioventù, o ha un libercolo già pronto nel cassetto, o vorrebbe scriverle in futuro. Poi andate a vedere le classifiche di vendita dei libri, o chiedete a qualche editore: i libri di poesia non vendono una cippa lippa. Come è possibile? Se praticamente tutti gli italiani sono poeti come mai i libri di poesia non vendono? Semplice, agli aspiranti poeti della poesia non importa nulla, o meglio gli importa solo della loro e di avere la possibilità di vedere il proprio nome stampato sulla cover di un libro (sai che soddisfazione…). Lo stesso processo funziona con gli italian manga. La maggior parte della moltitudine di acquirenti di Disegnare Manga non ha mai pensato di acquistare Mangaka perché non gliene è mai fregato nulla dei manga made in Italy, delle contaminazioni culturali, delle nuove tendenze grafiche e narrative. Gli importava solo di vedere il proprio nome su un fumetto, ops, un manga. 

Ritorniamo quindi al quesito di apertura: disegnare in stile manga si o no? Mi spiace, non ho una risposta. Posso solo darvi un monito e un consiglio. Monito: con quello stile sarà difficilissimo trovare spazio in Italia. Consiglio: andate dove vi porta il cuore o, più prosaicamente, disegnate quello che vi sentite e che vi viene meglio, poi, quando sarà il momento di diventare professionisti (se mai arriverete a quel punto), dovrete imparare a mediare tra ciò che vi piace e ciò che il mercato richiede. Impresa ardua, ma questa è stampa, baby. Anzi, è la vita.


RICORDATEVI TWITTER!

Ehi, mi sto ammazzando di fatica per inserire news su twitter. Vi prego quindi di farci un salto. Cercate davidcastel e magari troverete anche qualche info che vi interessa.

martedì 2 aprile 2013

GAUCHOS!


Se in tempi andati erano illustratori e pittori a immortalare sulla carta i volti e le gesta dei gauchos, oggi è la macchina fotografica a bloccarne il fascino per poi trasmetterlo a chi non ha mai avuto occasione di cavalcare al loro fianco. Grazie a centinai di scatti, il fotografo argentino Aldo Sessa consegna alla storia non solo i volti, segnati dal sole e dal vento, dei più grandi cavallerizzi del Sud America, ma anche i dettagli della loro vita quotidiana e gli sterminati spazi in cui si muovono. Ritratti in posa o colti al lavoro, i gauchos di Sessa sembrano creature fuori dal tempo, provenienti da un passato di cui custodiscono con cura e un pizzico di gelosia oggetti e gesti, rituali e significati. Sui loro visi fieri è possibile scorgere i tratti somatici degli antenati spagnoli ma anche le contaminazioni indio, mentre gli utensili del quotidiano, gli strumenti di lavoro o piccolo piacere, assurgono quasi a oggetti d’arte, svelando l’orgoglio di un mondo duro e povero che ha saputo crescere e divenire tradizione. Risulta difficile credere che in questi tempi moderni, fatti di tecnologia e velocissimi mezzi di trasporto, da qualche parte del mondo esistano ancora uomini che si muovono a cavallo portando al fianco coltelli dall’impugnatura cesellata. Eppure, le immagini di Sessa testimoniano questa anomalia temporale, l’esistenza di un luogo ove la terra confina ancora col cielo e ove cavalcare è la cosa più normale che si possa immaginare. E se c’è un cavallo, non può mancare un gaucho. 


LA SCHEDA
Titolo: Gauchos
Autore: Aldo Sessa (foto) e Juan José Güiraldes (testi)
Editore: Könemann
Numero pagine: 492
Anno: 2001
Prezzo: 9,99 sterline

venerdì 29 marzo 2013

LA MONTAGNA CHE CAMMINA


Tra i pugili del ventesimo secolo che hanno maggiormente incantato le masse va sicuramente annoverato l’italiano Primo Carnera, che cominciò a combattere per “motivi alimentari” ma ben presto si dimostrò determinato a raggiungere il traguardo del titolo mondiale, punto di svolta di una vita cominciata tra mille privazioni. Con un bel disegno, che media tra realismo e grottesco, ricordando a sprazzi la lezione del grande Will Eisner, Davide Toffolo costruisce tavole dal formato inusuale per un fumetto, spiccatamente verticali e con un limitato numero di vignette, ma dalla felice composizione e di grande freschezza grafica, attente soprattutto a far emergere il Carnera uomo prima del Carnera uomo pubblico. Il rischio di realizzare una noiosa opera didascalica, pericolo maggiore nelle biografie a fumetti, viene quindi superato tramite una narrazione fluida e romanzata, che per la maggior parte del tempo si mantiene su due piani temporali, il 1933 (anno in cui Carnera si aggiudicò il titolo) e il periodo precedente, grazie a frequenti flashback. Toffolo ha anche qualche guizzo geniale, per esempio suggerendo che proprio Carnera potrebbe essere stato uno degli spunti dietro la creazione del personaggio di Superman da parte dei fumettisti Jerome Siegel e Joe Shuster. Il volume si concentra sugli anni pugilistici di Carnera, tralasciando, per motivi di spazio, i successivi, quando dal 1946 si esibì come atleta di catch fino al ritiro nell’amata Italia.

LA SCHEDA
Titolo: Carnera la montagna che cammina
Autore: Davide Toffolo
Editore: Coconino Press
Numero pagine: 160
Anno: 2012 (ma la prima edizione è del 2001)
Prezzo: 16,00 euro

L'ARTISTA DI ROCCIA


Vero e proprio maestro dei war comics americani, Joe Kubert è nato il 18 settembre 1926 a Brooklyn (e purtroppo scomparso il 12 agosto 2012), un quartiere di New York, e ha cominciato a bazzicare il mondo dei fumetti da giovanissimo: a soli undici anni di età faceva già l'apprendista, mentre il suo primo lavoro è stato pubblicato quando aveva tredici anni. Da allora ha prodotto un numero sterminato di tavole, legate ai generi più disparati. Un dettagliato quadro della sua vita, soprattutto professionale, viene dipinto a parole in un recente volume statunitense di Bill Schelly. Partendo dagli antenati ucraini, fino ad arrivare ai figli (di cui due, Andy e Adam, sono a loro volta fumettisti), il volume si dipana cronologicamente lungo tutta l’esistenza di Kubert. Si scopre quindi che ha portato sulla carta le avventure e i drammi di svariati soldati delle due Guerre Mondiali in serie della DC Comics come Enemy Ace, Sgt. Rock, Il soldato Fantasma. Nel 1952, pioniere nel campo, si è dedicato alla realizzazione di fumetti in 3-D. Ha creato il personaggio di Tor, un cavernicolo che si muove in un mondo preistorico pieno di insidie e dalle sfumature fantastiche. Si è occupato anche di Tarzan e di Korak, serie affidategli negli anni Settanta dalla DC Comics, editore per cui ha disegnato anche molti supereroi, tra cui Hawkman, Superman, Batman. Su propri testi a fine anni Ottanta ha creato la serie Abraham Stone, mentre negli anni Novanta è la volta della graphic novel Fax from Sarajevo. Il volume si sofferma su tutto ciò, ma anche sui dietro le quinte e su alcuni dettagli della vita personale. Inoltre, non dimentica il ruolo di insegnante di Kubert, che nel 1976 ha fondato la prestigiosa Joe Kubert School of Cartoon and Graphic Art. Unica pecca imputabile al saggio è la scarsità di immagini, un patrimonio iconografico ricco come quello di Kubert avrebbe meritato di essere mostrato in modo più ampio e magari con qualche immagine a colori.

LA SCHEDA
Titolo: Man of Rock: a Biography of Joe Kubert
Autore: Bill Schelly
Editore: Fantagraphics Books
Numero pagine: 306
Anno: 2008
Prezzo: 19,99 dollari

venerdì 22 marzo 2013

LUCHA LIBRE!


Il libro è americano, come si intuisce dal titolo, ma si tratta di un’edizione bilingue (inglese e spagnolo) del messicano Espectacular de Lucha Libre. Basta sfogliare questo corposo volume, decisamente centrato sulle immagini più che sulle parole, per venire rapiti e incantati da un mondo sconosciuto e pittoresco fatto di lottatori mascherati e di eroi popolari, di sale gremite di spettatori e di esibizioni muscolari, di costumi sgargianti e povera gente. Un repertorio di immagini in bianco e nero e a colori che fa immediatamente comprendere come il fascino della Lucha Libre non si limiti al ring, ma raggiunga le strade e la vita quotidiana. Sorprende vedere i bambini giocare per strada indossando le maschere dei propri eroi, scoprire che il più grande fan di tale sport è stata dona Virginia Aguilera, vecchietta che a oltre novant’anni non si perdeva un incontro di lotta ed era pronta ad affrontare, armata di ombrello, i luchadores cattivi. La presenza femminile è forte anche sul ring, grazie a numerosissime lottatrici, famose quanto i colleghi maschi. E chi pensa che la Lucha Libre sia uno sport violento e volgare non si perda le foto e le parole di atleti come El Belo Greco e Sergio El Hermoso, dai modi eleganti e un po’ effemminati. L’intreccio tra Lucha e quotidiano si evidenzia invece nelle proteste per le elezioni truccate, guidate nel 1988 da alcuni luchadores, o nella figura di Fray Tormenta, un prete trasformatosi in lottatore per salvare un orfanotrofio. A volte la realtà è più fantastica della fantasia… 



LA SCHEDA
Titolo: Lucha Libre – Masked Superstas of Mexican Wrestling
Autori: Carlos Monsivais (testi) e Lourdes Grobet (foto)
Editore: D.A.P.
Numero pagine: 320
Anno: 2005

giovedì 21 marzo 2013

KUNG FU!


Anche se non raggiungono la popolarità degli anni Settanta, in tempi recenti kung fu e arti marziali in genere sono ritornati sulla cresta dell’onda. Merito, ancora una volta, del cinema. Film come Kill Bill, di Quentin Tarantino, hanno omaggiato le star del passato, mentre la diffusione dei DVD ha permesso il recupero di importanti pellicole, come le produzioni dell’hongkonghese Shaw Brothers. Anche i fumetti hanno quindi rispolverato le loro vecchie glorie, rivisitate in un’ottica moderna. Tra i volumi recenti vi è “Le figlie del drago”, incentrato su due character minori del Marvel Universe, Misty Knight e Colleen Wing, poste sotto la luce dei riflettori e supportate solo nel gran finale da un più famoso Iron Fist (tra l’altro anch’egli attualmente al centro di un rilancio negli Usa). Le due gestiscono la Nightwing Restorations, un’agenzia che si occupa di cauzioni e i cui clienti sono i supercriminali più svitati. Se i ridicoli, ma pericolosissimi, delinquenti liberi su cauzione non si presentano in tribunale, le due cacciatrici di taglie si lanciano all’inseguimento. Ma quando ben quattro clienti svaniscono, dopo aver rubato un microchip che contiene un segreto a cui sono interessate le maggiori organizzazioni criminali del mondo, si scatena un vero e proprio putiferio. Gli ingredienti base si riassumono in azione, azione e ancora azione. Non sono più gli anni Settanta e la sceneggiatura è arricchita da una buona dose di ironia e disincanto, ma quando si tratta di menare le mani e di esibirsi in acrobazie e colpi spettacolari, le fanciulle protagoniste non fanno rimpiangere il passato. La giunonica Misty e la flessibile Colleen piroettano e volteggiano entro sexy tutine aderenti che trent’anni fa non avrebbero passato la censura. Se un tempo al centro della scena dominava il torso nudo di Shang-Chi, ora vi sono le tornite curve di due furie in gonnella. Anche gli invincibili kung fu fighter devono piegarsi davanti all’emancipazione della donna.

LA SCHEDA
Titolo: Le figlie del Drago: corpo a corpo
Autori: Justin Grey e Jimmy Palmiotti (testi), Khari Evans (disegni)
Editore: Panini
Numero pagine: 144
Anno: 2007 Prezzo: 11,00 euro

WAR COMICS DI UNA VOLTA…


Anche se i tempi sono cambiati, molte riviste sono scomparse e i dati di vendita non sono più quelli di un tempo, in Inghilterra i war comics continuano a essere pubblicati. Negli ultimi anni la casa editrice Prion sta ristampando in edizioni da libreria molto materiale della Fleetway. Si tratta di volumi monografici di circa 800 pagine e dalla copertina semirigida, in cui vengono raccolte una dozzina di storie prelevate dai vecchi settimanali: War Picture Library, Battle Picture Library, ecc. Tra i più recenti vi è “Death or Glory”, volume uno della Battle Picture Library Collection. Chi mastica un po’ di inglese può immergersi nella lettura di questo corposissimo tomo (che tra l’altro fa un’ottima figura sugli scaffali di una libreria), scoprendo che tutto sommato le storie contenutevi sono ancora gradevoli. Certamente il costante uso delle didascalie e la struttura rigida delle tavole sono stati superati dal moderno modo di narrare, più rapido e visivamente accattivante, ma il disegno di matrice realistica, le sapienti inquadrature, la cura per armi e uniformi non hanno nulla da invidiare a fumetti contemporanei. Spiace solo che i redazionali consistano unicamente in due paginette introduttive e che manchino i nomi degli autori (evidentemente difficili da rintracciare), ma basta una visione dell’immagine di copertina, pittorica come tutte quelle della Fleetway, per invogliare alla lettura.


LA SCHEDA
Titolo: Death or Glory
Autori: AA.VV. (curatore: Steve Holland)
Editore: Prion
Numero pagine: 776
Prezzo: 14,99 sterline

giovedì 7 marzo 2013

IL "MIO" ROBIN HOOD


Oggi ho trovato, in una libreria dell'usato a Salsomaggiore Terme, un libro di Robin Hood, lo stesso a cui ero attaccatissimo da bambino (intorno ai 7 anni) a tal punto da indossare un cappello con la piuma identico al suo. Per soli 3,50 euro un grandioso viaggio nel mondo dei ricordi. Il volume è illustrato da Antonio D'Agostini. Fra tutti gli illustratori della Malipiero, probabilmente Antonio D'Agostini (Vicenza, 1942 - 2011) è stato quello che ha ottenuto maggior successo anche come pittore. Fondatore della casa editrice Avalon, ha acquisito una certa notorietà producendo il volume King Arthur da lui scritto ed illustrato al quale sono seguite diverse mostre personali e pubblicazioni.

mercoledì 6 marzo 2013

UNA MOSTRA PER LUPIN III


Gli interessati si affrettino, perché la mostra dedicata a Lupin chiuderà il 24 marzo. Il Sakura City Museum of Art (285-0023 210, Shinmachi, Sakura-shi, Chiba, Japan) sta infatti ospitando un'esposizione di tavole originali e manoscritti di Monkey Punch, ma anche cel delle varie animazioni e curiosità varie. Un'occasione imperdibile per i fan del simpatico ladro.

domenica 3 marzo 2013

CREPAX FANTASCIENTIFICO


Continuo ad amare di più il Crepax illustratore rispetto a quello fumettista. Ecco una bella cover della rivista Galaxy, esempio di efficace semplicità.

©eredi Crepax

venerdì 22 febbraio 2013

UN NUOVO LIBRO PER LUPIN III


Vale la pena di segnalare la prossima uscita, in Giappone ovviamente, del volume "The Special Edition of Lupin the 3rd", sorta di mini illustration book dedicato al famoso ladro nipponico. Il libro in questione dovrebbe raccogliere esclusivamente immagini realizzate dal bravissimo Yatsuo Otsuka.
Nato il 7 marzo 1931, Yasuo Otsuka è entrato nel mondo dell'animazione a 26 anni di età, dopo aver lavorato come impiegato statale. La sua prima occupazione come animatore è presso lo Studio Nichido, in seguito rilevato dalla Toei Company, destinata a diventare prima Toei Doga e poi Toei Animation. È poi passato alla A Production e alla Telecom Animation Film, studio della TMS che si occupa di lungometraggi e per cui lavora tuttora. Ha collaborato alla serie televisiva di Conan ed è stato il maestro di artisti del calibro di Hayao Miyazaki e Yoshifumi Kondo. Otsuka è uno degli animatori che hanno maggiormente legato il proprio nome a quello di Lupin III. Fa infatti parte sin dall'inizio dello staff che realizza la prima serie televisiva, inoltre è sua l'idea di far guidare una 500 al personaggio, utilizzando come modello la propria auto.



sabato 2 febbraio 2013

IL SUO NOME È BOND, JAMES BOND…


“Un uomo interessante cui succedono cose incredibili”, così venne definito James Bond da Ian Fleming, lo scrittore che lo creò nel 1953 nel romanzo "Casinò Royal". La spia più famosa di tutti i tempi da oltre cinquant'anni continua a entusiasmare il pubblico di tutto il mondo, passando con disinvoltura da un media all'altro. 
C'è molto di Ian Fleming in James Bond. Discendente di una ricca famiglia inglese, nel corso di una vita non eccessivamente brillante ma sufficentemente avventurosa, Fleming si dedicò al giornalismo e all'attività bancaria, ma soprattutto si arruolò nei servizi segreti britannici durante la Seconda Guerra Mondiale. Fu probabilmente quell'esperienza a fornirgli la grezza creta per modellare la sua creatura letteraria. Inoltre, proprio come Bond, Fleming amava i vestiti eleganti, le feste lussose, gli amici affascinanti, i luoghi esotici, il tutto condito col tipico aplomb inglese. 
Nei quattrodici libri scritti (12 romanzi e due raccolte di racconti), Flaming descrive sempre succintamente il personaggio, conferendogli un aspetto lievemente più tenebroso di quello della sua versione cinematografica. Attraverso la lettura delle sue avventure è possibile farsi un quadro di tutta la vita del personaggio. Figlio di padre scozzese e madre svizzera, che periscono in un incidente quando è ancora un ragazzo, Bond viene affidato alle cure di una zia che vive nel Kent. Frequenta il prestigioso collegio inglese Eton, ma ne viene espulso per questioni di sesso. Passa a Fettes, ove pratica anche pugliato e judo. In seguito entra nel Ministero della Difesa Britannico e, al termine della Seconda Guerra Mondiale, nei Servizi Segreti. Il numero 007, che lo identifica, indica anche la sua particolare qualifica, dato che il doppio zero è sinonimo di “licenza di uccidere” assegnata solo agli agenti migliori e più fidati. Il personaggio è pronto per affrontare il mercato editoriale, Fleming sforna circa un libro all'anno. Il successo arriva velocemente e, anche se i salotti letterari non vedono di buon occhio quelle storie fatte di spie e condite di sesso, il pubblicò comincia ad amare il personaggio, anche fuori dall'Inghilterra. Nel 1961, in un'intervista su Life, il presidente John Fitzgerald Kennedy afferma che "Dalla Russia con amore" è il suo secondo libro preferito, subito dopo "Il rosso e il nero di Stendhal". Il più elegante degli inglesi ha fatto breccia nel cuore dell'America. 
Poteva il cinema lasciarsi sfuggire un personaggio come Bond? Certamente no. E "Dr. No" è il titolo del suo primo film (giunto in Italia come "Licenza di uccidere"), uscito nelle sale inglesi nel 1962 e in quelle statunitensi nel 1963. Lo strillo sulla locandina cinematografica recita “meet the most extraordinary gentleman spy in all fiction”. Anche se il secondo film, "Dalla Russia con amore", secondo molti fan è migliore del primo, e anche se la bondmania scoppia solo col terzo, Goldfinger, già in Licenza di uccidere gli ingredienti del successo ci sono tutti. Innanzitutto lui, Bond, a cui presta volto e fisico un giovane Sean Connery in splendida forma, macho e ironico come il personaggio deve essere. Poi le bond girls, Ursula Andress in primis, la cui immagine in bikini mentre esce dall'acqua è entrata a far parte della storia del cinema. Seguono i “gadget”, i congegni da agente segreto che Bond utilizza con disinvoltura al momento opportuno. E infine gli abiti: sin dalla sua prima apparizione Bond è inappuntabile in giacca e cravatta, mostrando uno stile sobrio ma ineccepibile, da vero gentleman inglese. Una caratteristica, quest'ultima, che ben si intona anche con la scelta del suo mezzo di trasporto per eccellenza: una Aston Martin DB5. Auto meravigliosa e dalle sinuose curve, che ricordano quelle delle splendide fanciulle presenti in ogni film e catalogabili in due sole categorie: belle e letali, belle e accondiscenti. Nell'universo maschilista di Bond non sembre infatti esserci posto per il “brutto”, con l'eccezione, ovviamente, dei suoi cattivissimi avversari maschili. 
In quarant'anni di presenza al cinema, il ruolo di Bond deve per forze di cose passare ad altri attori, nell'ordine: George Lazenby, Roger Moore, Timothy Dalton, Pierce Brosnan, Daniel Craig. Nonostante i fan più attempati in genere ritengano che l'unico “vero” James Bond sia il primo, anche altri interpreti si guadagnano i propri sostenitori. Con la sola esclusione di Lazenby, protagonista di un solo film, che sembra non essere apprezzato da nessuno e che, in effetti, dopo "Al servizio segreto di Sua Maestà" (del 1969) sparisce dalla scena.



martedì 29 gennaio 2013

UN GRAPHIC NOVEL INGLESE


Da uno scaffale della mia libreria salta fuori un volume inglese (un brossurato della Titan Books) dal titolo “London’s Dark”, pubblicato nel 2002 ma contenente la ristampa di una storia del 1989. 
Londra, Seconda guerra mondiale. Sotto i bombardamenti dell'aviazione tedesca, la popolazione della capitale inglese vive alcuni dei suoi momenti più tragici. Jack Brooks avrebbe voluto arruolarsi, ma il suo cuore malandato non glielo ha permesso. Il suo desiderio di essere utile alla patria lo porta quindi a far parte dell'A.R.P. (Air Raid Precautions), corpo che si occupa di aiutare i civili durante e dopo i bombardamenti. In una City in buona parte trasformata in macerie, si imbatte nella bella Sophie, che sostiene di poter parlare con i defunti. In bilico tra lo scetticismo della mente e le debolezze del cuore, viene da quest'ultima coinvolto nella ricerca di una assassino la cui vittima grida vendetta dall'oltretomba. Una storia in sole quarantaquattro tavole che, con un tratto sporco e graffiato adatto alle atmosfere di devastazione, abbina con grande equilibrio realismo storico e tematiche fantastiche, dovere e amore. 
Nota di merito anche per la cover, impostata come se si trattasse della copertina di un vecchio paperback, stropicciato e spiegazzato dopo la lettura. Un pizzico di fascino in più per un volume che già meritava ampiamente la lettura.  


Per le immagini ©James Robinson e Paul Johnson